Un lavoro invidiabile, una famiglia bellissima ed un meraviglioso attico sposano perfettamente la cultura occidentale della casa, la sete di “avere”, la ricerca di una stabilità affettiva ed economica. Ma se tutto quanto ci è richiesto di desiderare non corrispondesse realmente ai nostri voleri?
Chi preferisce la leggerezza di un buon bicchiere di vino alle orge superficiali e pretestuose dei “colletti bianchi” può reinventarsi una vita? Oppure è possibile subordinare pacificamente la propria indole bohemien, la curiosità che vive dietro ogni nostro respiro al desiderio di una claustrofobica esistenza di lusso?
E se invece, il rifiuto dei dogmi imposti fosse all’origine di ogni crisi? O meglio, fossero le stesse immagini evocative, implicite in quegli stessi dogmi, a determinare un malessere che per sua natura deve distruggere tutto quanto non gli appartiene?
Il grigiore esistenziale di Santiago Hernandez è una premessa necessaria per vivere la gioia della riscoperta di un’indole accantonata, per rianimare quella frenesia capace di divorare fino al midollo le esperienze, drammatiche o goliardiche che siano.
Da 400 a 40 è la storia di un “risveglio” tragico e solare, è il ripudio della superficialità, è l’esaltazione della leggerezza; è il manifesto di una condanna alla nostra pigrizia che ci vuole spettatori della vita, appesantiti su di un comodo divano posto al centro di un immenso salotto come se la nostra esistenza fosse una storia che stiamo guardando, che ci stanno “raccontando” e non una vittima sacrificata al tempo “bastardo” che tutto spazza via: i nostri amori, i nostri amici, i nostri sensi, noi stessi.