Brusii, fischi di bambini, agavi e viole, deserti, il mondo surreale e visionario di Buco Nero, Kenyatta Avenue o il Salar de Uyuni, un albergo con un armadio dalla cui anta si accede a un prato rigoglioso, notti avvolti in una coperta in due sotto un cactus gigante, una donna che assomiglia alla “Musa” di Modigliani e “sfugge” attraverso mutevoli geografie. Tutto è reso attraverso percezioni forti e raffinate, una delle vie di accesso alla vita che Daniele Regge privilegia. Immergersi tra lievissimi aromi o sensazioni tattili e uditive, quasi subliminali, di cui ogni testo è ricco, per lui significa trovare la propria dimensione e comunicar(ce)la. Nel labirinto dei sensi “scopre” se stesso e l’altro e l’emozione travolgente che ne deriva.