I futuristi comunisti tentarono di unire l'avanguardia artistica con quella politica del partito della rivoluzione mondiale, di coniugare il futurismo - che si proponeva di eliminare la separazione tra arte e vita non all'interno di un'élite intellettuale ma nell'intera società - con l'arte prodotta dagli operai per gli operai. Dopo la guerra e la rivoluzione bolscevica, nel biennio rosso 1919-20, la rivendicazione di un'arte espressione del mondo delle fabbriche, che assume a modello la figura dell'operaio professionalizzato incorporandone l'estetica e l'etica, supera di slancio le realizzazioni del primo decennio del '900, quando erano sorte le Università Popolari per trasmettere al proletariato il patrimonio culturale dell'umanità. Ma le organizzazioni politiche e sindacali della sinistra italiana tranne rare eccezioni ignorarono il fattore rivoluzionario dell'arte d'avanguardia e la concezione dell'artista militante e una parte della generazione degli intellettuali del primo '900, desiderosa d'innovazione, di rotture, di mutamenti radicali, fu risucchiata verso la "rivoluzione" fascista dalla mancanza di una sensibilità all'innovazione in campo artistico da parte del movimento proletario . Questa ricerca, condotta sul piano storico-politico più che su quello artistico-letterario, ripropone personaggi ed esperienze di quella breve stagione venata di una carica utopistica che prelude al '68.